Miniera di Cadibona

Una strana scoperta…
Scoperta casualmente nel 1786 da un cacciatore che mostrò il pezzo di lignite nel quale era inciampato ad un ufficiale svizzero al servizio della Repubblica di Genova, la miniera di Cadibona attirò fin dal principio l'attenzione del regime napoleonico che vedeva nell'estrazione del carbone la chiave di volta per i progetti di sviluppo industriale concepiti dallo statista Chabrol de Volvic.

La miniera agli albori
La miniera di Cadibona raggiunse il massimo di attività intorno alla metà dell'Ottocento. Nel 1856 furono infatti estratte quasi 25000 tonnellate di lignite e l'anno dopo si superarono le 27000. I lavori di scavo occupavano circa 300 operai e molti altri provvedevano al trasporto del carbone estratto sino al porto di Savona, dove veniva imbarcato e spedito per due terzi verso località nazionali, destinato a forni di calce, mattoni e vetrerie, per un terzo fino ad Alessandria d'Egitto.

Il trasporto
Le gallerie principali erano destinate all'esplorazione di una vasta area e quindi a restare in opera per parecchio tempo, le traverse servivano per aree limitate e per lo sfruttamento dei banchi di carbone di volta in volta individuati, per poi venir abbandonate.
La scelta dei punti in cui si dovevano costruire le traverse era affidata ad un gruppo di esperti veterani che avevano anche funzione di capoturno. Tali opere dovevano mantenere una distanza minima di trenta metri l'una dall'altra e direzione parallela tra loro.
Allo scavo della galleria si procedeva con l'uso di mine per smuovere i materiali, i quali venivano caricati sui carrelli e portati all'esterno, separando quindi il carbone, depositato sul piazzale, dalla terra che finiva in discarica.

Le misure della galleria
Alla base la galleria era larga circa 2 metri. Si stringeva poi verso l’altro prendendo la forma di un trapezio iscoscele alto 1 metro e 85 cm. La base minore misurava quasi 70 cm. Le pareti erano formate da pesanti colonne armate e l’architrave della volta poggiava direttamente su esse.

I ruoli in miniera
Le mansioni principali erano:
Minatore: si occupava dell'avanzamento nelle gallerie e dello sfruttamento dei banchi di carbone e in condizioni di lavoro speciali poteva operare in compagnia di due manovali.
Armatore: era addetto al montaggio ed al recupero dei binari, alla realizzazione di nuove strutture e alla messa in sicurezza delle parti dismesse.
Segantino: era addetto alla preparazione del legname da armatura. Pompista: era addetto agli impianti di pompaggio di acqua e alla pulizia dei canali di scolo.
Arganista: era addetto agli impianti di sollevamento ai pozzi e alla discenderia.
Vi erano inoltre lavoratori giornalieri - tra questi molte erano le donne - che si occupavano della classificazione e della scelta del carbone e del carico dei camion sul piazzale.

Le difficoltà della vita in miniera
Bastava entrare in galleria per essere resi irriconoscibili, l'umidità e la temperatura in miniera erano tali che si lavorava in mezze maniche anche d'inverno e nonostante ciò si continuava a sudare. La società non passava alcun indumento, ad eccezione di un paio di stivali a consumo a chi operava nella galleria Sant'Andrea, dalla quale usciva un vero e proprio fiume d'acqua.
II problema delle calzature era molto serio, in quanto non se ne trovavano: anche se a Cadibona in molti sapevano farle, mancava la materia prima, il cuoio. Quasi sempre tale difficoltà si risolveva con gli zoccoli, il cui fondo in legno si reperiva sul mercato o si costruiva, mentre la tomaia veniva rimediata da un paio di scarponi con la suola irrecuperabile. Questi risultavano le calzature migliori in quanto tenevano il piede caldo e asciutto.

Le condizioni lavorative peggiori erano riservate agli "esonerati", ovvero coloro che avevano ottenuto l'esonero nei primi mesi del '42, i quali per molto tempo non usufruirono dei riposi settimanali, concessi solo in seguito grazie ad un intervento dell'Ispettorato del Lavoro.
Dopo pochi giorni i minatori furono tutti convocati sul piazzale. I dirigenti della miniera chiesero se chi aveva avuto il coraggio di rivolgersi all‘Ispettorato ne avesse altrettanto in quel momento di farsi avanti. Nessuno avanzò, ma il monito era stato chiaro. Quella era la guerra dei lavoratori, il motto 'Credere, obbedire e combattere' doveva valere anche se esonerati. L'alternativa veniva detta loro chiaramente: era la Russia.

La fine dell'attività in miniera

Al termine della guerra, a causa della scarsa redditività , la ricerca e con essa l'attività della miniera giunse al termine.

 

La miniera si avviava così ad una rapida chiusura e, sebbene molti in quel periodo avessero trovato una diversa occupazione, numerose erano ancora le famiglie che contavano su quello stipendio fino ad allora garantito.

Nei primi mesi del 1946 l'attività della miniera venne interrotta umentando il numero dei disoccupati. Tuttavia fino al 1952 continuò una gestione operaia sotto forma di cooperativa con scarsi risultati.